
Razionale Scientifico
“Oggi l’infezione da HIV, grazie agli innumerevoli progressi terapeutici raggiunti, è considerata una malattia cronica. Il virus dell’HIV rappresenta tuttavia ancora un’importante questione di Salute Pubblica a livello globale: si stima infatti che le persone affette da HIV siano circa 38 milioni e l’incidenza più alta delle nuove diagnosi si registra nella fascia giovanile.
In base all’ultimo report COA ISS, nel 2020 in Italia, sono state effettuate 1.303 nuove diagnosi di infezione da HIV
pari a 2,2 nuovi casi per 100.000 residenti. Si sottolinea che i dati relativi al 2020 hanno risentito dell’emergenza
COVID-19. L’incidenza osservata in Italia è inferiore rispetto all’incidenza media osservata tra le nazioni dell’Unione Europea (3,3 nuovi casi per 100.000). Dal 2018 si osserva una evidente diminuzione dei casi per tutte le modalità di
trasmissione. Nel 2020, la proporzione di nuovi casi attribuibile a trasmissione eterosessuale era 42% (25% maschi
e 17% femmine), quella in maschi che fanno sesso con maschi 46% e quella attribuibile a persone che usano sostanze
stupefacenti 3%. Il Registro Nazionale AIDS (attivo dal 1982) nel 2020 ha ricevuto 352 segnalazioni di nuovi casi di AIDS, pari a un’incidenza di 0,7 nuovi casi per 100.000 residenti.
L’80% dei casi di AIDS segnalati nel 2020 era costituito da persone che avevano scoperto di essere HIV positive nei sei mesi precedenti alla diagnosi di AIDS.
Le modalità di diffusione del virus HIV hanno subito nel corso degli anni diversi cambiamenti e l’infezione da HIV è
progressivamente diventata, anche nel nostro Paese, una infezione trasmessa principalmente per via sessuale. I report prodotti annualmente dal COA ISS descrivono un trend epidemiologico caratterizzato da un progressivo incremento delle nuove infezioni da HIV nella popolazione dei maschi che fanno sesso con maschi (MSM) e nella popolazione dei migranti, con una elevata incidenza fra le donne straniere con potenziali ricadute anche sulla trasmissione verticale.
Inoltre, tali report continuano a descrivere un fenomeno di arrivo tardivo alla diagnosi, con circa il 50% dei soggetti
giunti alla diagnosi in una condizione di late presenter. In particolare, i dati mostrano che il 36% dei soggetti che ha
avuto una diagnosi nel corso del 2017 presentava un numero di CD4 <200 cellule/mmc, il 56% meno di 350 cellule/
mmc, il 32% aveva effettuato il test in presenza di sintomi; infine il 74% delle diagnosi di AIDS è stata effettuata contestualmente alla prima diagnosi o nell’arco dei primi mesi dopo la diagnosi di infezione da HIV.
Appare, quindi, evidente come la diagnosi tardiva continui a rappresentare la principale modalità attraverso cui vengono identificati i nuovi casi di infezione da HIV.
Le strategie di screening indirizzate ad una diagnosi più precoce costituiscono strumenti di sanità pubblica che, se ben attuati, potrebbero da una parte determinare una riduzione delle diagnosi tardive, dall’altro ridurre nel lungo termine il numero di ulteriori nuove infezioni (l’abbattimento della carica virale indotto dalla terapia cui tutti i soggetti diagnosticati vengono avviati riduce la probabilità di ulteriore trasmissione ad altri (U=U Undetectable=Untrasmittable).
Se da una parte i servizi di Malattie Infettive hanno, nel corso degli anni, sviluppato una particolare attenzione e sensibilità nei confronti della proposta del test HIV, non altrettanto sembra accadere all’interno di altre realtà specialistiche dove probabilmente problematiche di approccio o di informazione o più semplicemente difficoltà di accesso al test rendono difficoltosa la semplice proposta di eseguire tale procedura diagnostica. Una più estensiva proposta del test HIV, anche attraverso ad esempio l’utilizzo di strategie di opt-out, ha consentito di aumentare il numero di diagnosi precoci ad un livello più elevato di CD4. I dati di letteratura mostrano come esista una associazione fra la presenza di alcuni sintomi o particolari patologie (malattie a trasmissione sessuale, co-infezione HCV/HBV, TBC, linfoadenopatie, sindrome simil-mononucleosica, patologia linfomatosa, HZV in giovane età etc) e l’infezione da HIV e come la proposta del test HIV guidata dalla presenza sia di condizioni considerate a rischio sia di tali situazioni cliniche possa permettere di incrementare il numero di nuove diagnosi.
Alla luce di tali evidenze, un attivo coinvolgimento dei clinici che operano all’interno del pronto soccorso che con maggiore frequenza intercettano persone con tali fattori di rischio e/o quadri clinici potrebbe rappresentare uno strumento per incrementare il numero delle nuove diagnosi. Il tutto in collaborazione con i reparti di Malattie Infettive nelle fasi del Linkage to Care (LTC) e invio dei nuovi diagnosticati ai centri di cura, sottolineando qui l’importanza di una collaborazione multidisciplinare o Stewardship a livello ospedaliero. Concetto comunque estrapolabile anche alle altre malattie infettive emergenti e riemergenti.
Questo Evento educazionale che vedrà il patrocinio del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, della
Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), della Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza
(SIMEU) e del Gruppo Italiano per la Stewardship Antimicrobica (GISA-APS) e che vedrà coinvolti i maggiori stakeholders a livello nazionale, oltre a prevedere una iniziale overview della situazione attuale a livello globale e nel nostro Paese, avrà come obiettivo quello di riflettere su alcuni temi chiave che vanno dal patient journey dei soggetti con infezione da HIV agli aspetti legislativi/regolatori, al miglioramento delle attività di screening HIV e linkage to care per l’ottimizzazione del percorso diagnostico assistenziale in HIV e per le malattie infettive emergenti attraverso sempre una più stretta collaborazione multidisciplinare in ottica stewardship tra i reparti di Malattie Infettive e i reparti di pronto Soccorso con la collaborazione delle Istituzioni di Salute Pubblica.
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